La storia della telepsicologia in Italia è stata – e appare tuttora – caratterizzata da un atteggiamento orientato prevalentemente a limitare l’introduzione degli strumenti tecnologici nei contesti clinici, invece che comprenderne le potenzialità, oltre che naturalmente i limiti, sia in termini di efficacia clinica, sia di maggiori opportunità per i pazienti.
Già nel 2002 il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) stabilì il divieto di praticare la psicoterapia online, ipotizzando la violazione dei principi espressi negli art.6-7-11 del Codice Deontologico.
Un tale divieto non è mai esistito per i medici, con i quali condividiamo la possibilità di pratica della psicoterapia, creando il paradosso che per molti anni la psicoterapia online ha potuto essere praticata dai medici, ma non dagli psicologi.
La situazione si è solo parzialmente sbloccata nel 2013, quando il CNOP ha prodotto le prime linee guida sulla psicoterapia online, praticabile tuttavia solo previo preliminari incontri in presenza col paziente.
La cornice che ha orientato negli anni queste decisioni vedeva la terapia online come inappropriata in riferimento ai principi di dignità, decoro, trasparenza e alla possibile violazione del segreto professionale.
Solo nel 2017 le nuove linee guida del CNOP hanno sdoganato la possibilità di una psicoterapia svolta interamente online.
Un risultato che è arrivato sostanzialmente come una resa, di fronte a quanto era ormai successo alla psicoterapia nel mondo, che a partire dagli anni 2000 aveva prodotto svariata letteratura sulla terapia online.
Fino a quel momento si stimava che in Italia solo uno psicologo su quattro avesse qualche dimestichezza con il setting online.
Lo scoppio della pandemia nel 2020 ha improvvisamente costretto gli psicologi ad interrogarsi sulla possibilità di utilizzare questo tipo di setting, anche solo per garantire la minima continuità terapeutica ai propri pazienti.
Da quel momento in avanti la diffusione del setting online è stata dilagante. Attualmente si stima che tre psicologi su quattro assistono pazienti utilizzando il setting online e la domanda di terapia online da parte dei pazienti è sempre più ampia, come testimonia l’aumento vertiginoso del volume d’affari intorno a questo tipo di prestazioni.
Il cambiamento di paradigma a cui la pandemia ha costretto un’intera comunità professionale ci impone ora di superare l’epoca dei divieti e delle eccezioni.
Il rischio è lasciare che temi di rilevanza deontologica, clinica e di appropriatezza finiscano per essere autoregolamentati in modo selvaggio dalle mere dinamiche di mercato a discapito della professionalità degli psicologi e della salute della collettività.
La questione non può più essere affrontata in termini di limitazioni o di salvaguardia della categoria e/o dei cittadini.
E’ quanto mai urgente rimettere al centro quanto espresso dall’articolo 5 del Codice Deontologico, ossia: ‘La psicologa e lo psicologo sono tenuti a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali operano’.
Per quanto scomodo, perché significa rimettere in discussione status quo formativi che si ritenevano esaustivi, è necessario che istituzioni, università, centri di formazione accreditata e scuole di specializzazione siano ingaggiate intorno alla necessità di integrare all’interno dei loro percorsi possibilità di formazione strutturata, non episodica né ridotta a poche ore.
Ci troviamo di fronte all’ultima opportunità di poter riprendere in mano le redini di quanto accadrà alla psicoterapia nel prossimo futuro e dobbiamo farlo.
Per il bene dei pazienti e per il bene della nostra comunità professionale.